LA RICERCA DI UN PAESE SBAGLIATO

È proprio vero che l’Italia sia un Paese sbagliato (per la ricerca)? Il Paese che - facendo un passo indietro agli anni ’60 del secolo scorso - ha ideato (e costruito) il primo computer portatile, ha inventato (e prodotto) il Moplen, ha tentato col CNEN di creare una via italiana al nucleare civile, ha attirato all’Istituto Superiore di Sanità scienziati stranieri vincitori di Premi Nobel? E, poi, il problema dei finanziamenti alla ricerca si può considerare a sé o è necessario collegarlo ad altre cose che avvengono nella società?
Sono note a tutti sia la forte riduzione dei finanziamenti pubblici all’Università e alla ricerca (e, quindi, il loro ridimensionamento) sia le difficoltà dell’economia italiana. Meno noti sono, forse, il nostro arrancare nell’alta tecnologia o la divaricazione del numero ricercatori sul totale degli addetti nel sistema delle imprese industriali in Italia rispetto al resto dell’Europa. C’è un legame tra tutte queste cose?
Nel seminario si accennerà - da non economista - ad alcuni studi condotti da Sergio Ferrari sulla competitività tecnologica dell’Italia, si ricorderanno i consigli dati da Vannevar Bush a Roosevelt e si rifletterà sulle trasformazioni del ruolo delle Università. Da tutto questo si può ipotizzare l’esistenza di una connessione tra la riduzione dei finanziamenti alla ricerca e l’arrancare della nostra economia. Con l’apparire, tra l’altro, di un paradosso alla Comma 22. Un’economia non innovativa NON HA bisogno di laureati. D’altro canto, un rilancio del sistema produttivo (ottenibile solo andando in direzione dell’alta tecnologia) NECESSITA di un mondo della ricerca che si muove alle frontiere della conoscenza.